www.vanthuanobservatory.org Newsletter n.187 Verona, 21 Gennaio 2009: IN ATTESA DELLA NUOVA ENCILICA DI BENEDETTO XVI,
Cosa vuol dire che la Dottrina sociale della Chiesa è attuale?
S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi Presidente dell’Osservatorio
Siamo tutti in attesa della preannunciata terza enciclica di Benedetto XVI. Essa ricorderà dopo venti anni la pubblicazione della Populorum progressio di Paolo VI e si chiamerà Caritas in Veritate. E’ quindi un tempo opportuno, questo nostro, per chiederci il senso della “attualità” della Dottrina sociale della Chiesa (DSC). Il Santo Padre pubblica una nuova enciclica sociale proprio per rendere attuale, ossia vivo e operante nella storia, un insegnamento plurisecolare. Da cosa deriva, allora, questa attualità? Su che basi possiamo dire che la Dottrina sociale è “attuale”?
Sappiamo che la Dottrina sociale ha un valore permanente e, nello stesso tempo, mutevole. Nei paragrafi 2, 3 e 5 della Centesimus annus Giovanni Paolo II affermava di voler “rileggere” la Rerum novarum guardando “indietro”, guardando “attorno” e guardando “al futuro”. Le tre espressioni indicano la storicità della DSC, che è sempre un aggiornamento della tradizione per renderla nuovamente feconda, e quindi attuale. I tre momenti dello ieri, dell’oggi e del domani indicano il cambiamento e nello stesso tempo il permanere della medesima verità, nel senso che la DSC è storica senza ridursi a storia in quanto è annuncio di Cristo, che è lo stesso ieri, oggi e sempre. Gli aspetti “permanenti” della DSC le derivano anche dalla Tradizione apostolica, come componente essenziale del Depositum fidei e come punto di vista – o “luogo teologico” come anche dicono i teologi – da cui guardare al mondo e alla storia. Non solo la DSC ha una sua propria tradizione, che comincia nel 1891 con la Rerum novarum, ma si inserisce in pieno nella tradizione viva della Chiesa, da cui trova alimento. Uno dei motivi che spiegano certe lentezze e ritardi nella consapevolezza dei cristiani ad assumere, personalmente e insieme, la responsabilità della DSC è proprio di non considerarla dentro la tradizione ecclesiale.
Da quanto detto, si potrebbe dedurre che l’aggiornamento della DSC derivi delle novità storiche che si presentano davanti all’umanità e la sfidano. Ciò è indubbiamente vero. Poiché la DSC nasce «nell’incontro del messaggio evangelico e delle sue esigenze con i problemi derivanti dalla vita della società» (Libertatis conscientia, n. 72) si può sostenere che essa “si sviluppa in funzione delle circostanze mutevoli della storia” (Ivi) ed è soggetta a “necessari ed opportuni adattamenti suggeriti dal variare delle condizioni storiche e dall’incessante fluire degli avvenimenti, in cui si muove la vita degli uomini e delle società” (Sollicitudo rei socialis 3). Questo, come dicevo, è vero, però va correttamente inteso in senso non sociologico ma teologico. L’”attualità” di un’enciclica non è data solo dai problemi sociali nuovi che essa affronta. Se così fosse, per stabilire la “attualità” della prossima enciclica sociale di Benedetto XVI sarebbe sufficiente fare l’inventario dei problemi sociali in essa affrontati e vedere quanti e quali non erano presenti nelle precedenti encicliche. Così, però, non è, per il semplice fatto che un’enciclica sociale non è un’indagine sociologica.
Si capisce allora che la “attualità” della DSC non deriva solo dai fatti nuovi che l’umanità deve affrontare, ma dallo stesso Vangelo, che è sempre nuovo, in quanto è Parola incarnata. I fatti storici nuovi possono svolgere il loro ruolo di stimolo ad una rilettura della verità di sempre, perché la verità di sempre è essenzialmente aperta a ciò. Se così non fosse, infatti, ogni enciclica parlerebbe solo agli uomini del suo tempo. C’è invece nella Dsc un elemento profetico avente i caratteri della inesauribilità e irriducibilità, che le deriva dal Vangelo. Cristo è sempre attuale, e non dimentichiamo che la Dottrina sociale della Chiesa è “annuncio di Cristo”.
Newsletter n.187
What does it mean to say the social doctrine of the Church is timely?
Rt. Rev. Giampaolo Crepaldi President of the Observatory
We all await the heralded third encyclical of Benedict XVI, which will evoke the publication of Populorum Progressio by Paul VI twenty years ago, and will be entitled Caritas in Veritate. Our time is therefore a propitious time for us to ponder the sense of the “timeliness” of the social doctrine of the Church (SDC). The Holy Father is going to publish a new social encyclical precisely in order for a teaching dating back centuries to continue to be ever timely, alive and at work in history. What, therefore, is the source of this ‘timeliness’? On what basis can we say the social doctrine is ‘timely’?
We know the social doctrine of the Church has a permanent value and a changing value at one and the same time. In paragraphs 2, 3 and 5 of Centesimus annus John Paul II asserted his wish to “re-read” Rerum novarum by looking “back”, looking “around” and looking “to the future”. These three expressions indicate the historicity of the Church’s social doctrine, which is always an updating of tradition in order to render it once again fecund and hence timely and present. The three moments of yesterday, today and tomorrow indicate the change and the simultaneous permanence of the selfsame truth in the sense that the SDC is historical, and not just ‘history’, insofar as it is the announcement of Christ, who is the same yesterday, today and forever. The “permanent” features of the social doctrine of the Church also stem from apostolic tradition as an essential component of the Depositum fidei and as a point of observation – or ‘theological place’ as theologians say – to look upon the world and history. Not only does SDC have its own tradition, which began back in 1891 with Rerum novarum, but it also falls within the mainstream of the living tradition of the Church from which it draws nourishment. One of the reasons explaining a certain degree of slowness or even delays in the awareness of Christians with respect to assuming personal and collective responsibility for SDC may be seen in that fact it is not considered part of ecclesial tradition.
On the basis of what has been said above it could be surmised that the updating of SDC stems from changes and developments in the course of history, which constitute challenges for humanity. This is undoubtedly true. Since “the Church´s social teaching is born of the encounter of the Gospel message and of its demands […]with the problems emanating from the life of society” (Libertatis conscientia, n. 72) it may be argued that it “develops in accordance with the changing circumstances of history” (ibid) and “is subject to the necessary and opportune adaptations suggested by the unceasing flow of the events which are the setting of the life of people and society” (Sollicitudo rei socialis 3). This is true, as I said, but it has to be understood in a theological sense, not a sociological one. The “timeliness” of an encyclical does not merely depend on the new social problems or issues it addresses. Were this the case, establishing the timeliness of Benedict XVI’s upcoming social encyclical would merely be a question of listing the social issues it tackles and then checking which and how many of them were not touched upon in previous encyclicals. That, however, is not the way it is, for the simple reason that a social encyclical is not a sociological investigation.
It therefore becomes clear that the “timeliness” of SDC stems not only from the new facts humanity has to deal with, but from the Gospel itself, which, insofar as Word incarnate, is always new. New facts and developments in history can act as a stimulus for a re-reading of everlasting truth, because everlasting truth is essentially open to such an endeavor. Were this not true, each encyclical would speak only to the men and women of its time. Present in the Church’s social doctrine is an inexhaustible and irreducible element of prophecy bestowed upon it by the Gospel. Christ is ever timely, and let us not forget that the social doctrine of the Church is “announcement of Christ”.