lunedì 27 luglio 2009

News su: Gender Revolution-La Rivoluzione di Genere -United Nations- UNESCO educazione

(foto UNESCObrixiaUNO: arte preistorica rupestre in valle camonica nel bacino del fiume Oglio)

LA “GENDER ARCHITECTURE” (architettura di genere) DELL'ONU e dei suoi enti

UNESCO (educazione) UNFPA (popolazione), l’UNDP (sviluppo), la WHO (“salute riproduttiva”)

Dopo la Conferenza sulla donna di Pechino del 1995, l’Onu si riorganizza strutturalmente per promuovere in tutto il mondo la “Gender equality”.

La parola Gender -Genere- non è solidificata culturalmente e si interpreta anche in contrapposizione alla parola Sesso (sex), indicando che tali differenze sono "costruite socialmente".

Ma senza dimenticare che il maschio è "fatto" da maschio e la femmina è "fatta" da femmina.

Il processo verso la “gender equality” è portato avanti da Esperti(Centri studi, Fondazioni,...),ONG -organizzazioni non governative- e funzionari della Segreterie.

Le Nazioni Unite pare dispongano di una “Gender Machinery”:

OSAGI (Office of the Special Adviser on Gender Issues and the Advancement of women);

DAW (Division of the Advancement of Women – UN Secretariat);

UNIFEM (UN Development Fund for Women);

INSTRAW (UN International Research and Training Institute for the Advancement of Women.

Risulta l'istituzione di “gender advisers” a livello regionale e statale abilitati ad intervenire nei confronti degli Stati membri delle Nazioni Unite (in particolare Stati in via di sviluppo).

La Carta ONU del 1945 recita di “uguali diritti per l’uomo e per la donna”.

La “gender equality” nella sua concretezza in divenire è sempre la stessa (=diritti=) o nella sostanza operativa è tutt’altra cosa ( es. farle fare la uomA...) :?

vedi :www.dialoguedynamics.com - www.vanthuanobservatory.org

mercoledì 15 luglio 2009

THE POPE KNOWS WHERE WE HAVE TO GO - IL PAPA SA DOVE ANDARE di S.E. mons. Arcivescovo G. Crepaldi

IL PAPA SA DOVE ANDARE di S.E.Mons. Arcivescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi,

La Caritas in veritate è destinata a parlarci a lungo ed a lungo noi dovremo parlare di essa.

Dopo circa venti anni dalla Centesimus annus di Giovanni Paolo II, la Chiesa riprende ancora in mano il bandolo della matassa della costruzione del mondo e trasforma la questione sociale nientemeno che nella questione dello sviluppo umano integrale nella carità e nella verità.

Così facendo la Dottrina sociale della Chiesa viene collocata laddove Chiesa e mondo si incontrano. Il paragrafo 34 dell'enciclica dice con chiarezza che dopo il peccato il mondo non sa costruirsi da solo.

La Dottrina sociale, come diceva Giovanni Paolo II, è strumento di salvezza perché è annuncio di Cristo nelle realtà temporali. La Caritas in veritate ribadisce la pretesa cristiana: "senza di me non potete fare nulla".

Senza la forza della carità e la luce della verità cristiane l'uomo non è capace di tenersi insieme, perde i propri pezzi, si contraddice, si scompone e si decompone. La pretesa cristiana è che solo Gesù Cristo svela pienamente l'uomo all'uomo e gli permette di tenersi, come un tutto.

Una lettura della Caritas in veritate da questo punto di vista sarebbe molto interessante.

Destra e sinistra, conservazione e progressismo, capitalismo e anticapitalismo, natura e cultura…queste ed altre separazioni e riduzioni vengono completamente sorvolate: la realtà è più di esse e la realtà è data dalla carità e dalla verità. Si pensi alla più frequente delle scomposizioni ideologiche: la separazione dei temi della vita e della famiglia da quelli della giustizia sociale e della pace.

Separazione evidentissima, per esempio, nel riduzionismo ecologista o nello sviluppo dei popoli poveri collegato con l'aborto o la pianificazione riproduttiva forzata. L'enciclica dice che tutto ciò va tenuto insieme. Si pensi alla frequente interpretazione dello sviluppo solo in termini quantitativi, a fronte di altre cause qualitative sia del sottosviluppo che del supersviluppo.

L'ideologia della tecnica è il nuovo assolutismo (si veda il capitolo VI) perché separa: se tutti i problemi della persona umana si riducono a problemi psicologici risolvibili da tecnici esperti si finisce per non sapere nemmeno più cosa si intenda per sviluppo. L'uomo è unità di corpo e anima.

La Caritas in veritate riconsegna allo spirito e alla vita eterna il loro posto nella costruzione della città terrena.

La pretesa cristiana è di riuscire a tenere insieme il tutto. Ma è anche quella di rispondere ad un bisogno, meglio ad una attesa. Anche questo secondo aspetto della pretesa cristiana c’è tutto nella Caritas in veritate. Senza negare i diversi livelli di verità e di competenza, e quindi senza negare anche i propri limiti, la Chiesa sa di annunciare la Parola definitiva e che questa Parola non si aggiunge dall’esterno come un’opinione, ma pretende di essere la risposta alle attese umane.

Dio ha così il suo posto nel mondo e la Chiesa un suo “diritto di cittadinanza” .

Che Dio abbia un posto nel mondo richiede che il mondo ne abbia bisogno anche per essere mondo, ossia per conseguire i suoi fini naturali, viceversa Dio è superfluo. Utile, magari, ma non indispensabile. Se Dio è solo utile allora il cristianesimo è solo etica.

Se, invece, Dio è indispensabile allora la fede purifica la ragione e la carità purifica la giustizia. Purifica significa che le rende effettivamente ragione ed effettivamente carità. Come dire che senza la fede la ragione non riesce ad essere ragione e senza la carità la giustizia non riesce ad essere giustizia.

Non si comprenderà a fondo la Caritas in veritate se ci si soffermerà solo sui singoli capitoli tematici, senza tenere in conto la visione generale. Il tema vero dell'enciclica è il posto di Dio nel mondo.

Per questo la Caritas in veritate è anche un bilancio politico e sociale della modernità e dei danni al vero sviluppo provocati dalla incapacità di cogliere ciò che non sia prodotto da noi.

Il paragrafo 34 è tra i più belli e più importanti - dell'enciclica in quanto parla della stupefacente esperienza del dono. La modernità, nella sua versione emergente, elimina la possibilità stessa di “ricevere” e di “accogliere” qualcosa di veramente nuovo e che “irrompe” nella nostra vita. Impedisce di cogliere la carità e l’amore che sono sempre quanto non si può prevedere e produrre. Toglie quindi a Dio il suo posto nel mondo, perché Dio è Carità e Amore. Toglie la possibilità di riconoscersi come “fratelli”, perché la vicinanza si può produrre – dice l’enciclica – ma la fraternità no. Qualcuno ha osservato che nell’enciclica si parla più di fraternità che di solidarietà. E’ vero. Non però per eliminare il termine solidarietà, ma per chiarirlo meglio alla luce della fede cristiana. La fraternità richiede un unico Padre e non può essere che un dono.

La solidarietà corre il rischio del solidarismo e quindi della orizzontalità etica. Potremmo dire che la fraternità cristiana purifica la solidarietà umana.

Che rapporto c’è tra la prospettiva del dono e quella della libertà e della responsabilità? La Caritas in veritate colloca il tema dello sviluppo in questo ultimo ambito, non quello dei meccanismi ma quello della responsabilità. Questa non nasce da quanto produciamo noi, ma dall’accoglienza di doveri indisponibili. Al contrario la libertà sarebbe arbitraria e la responsabilità irresponsabile. Si legga con attenzione il paragrafo 43 sui diritti e sui doveri. Lì la modernità è purificata, ossia liberata da se stessa per essere più autenticamente se stessa. Da una modernità irresponsabile ad una modernità responsabile. Il sottosviluppo è prodotto. Ed è prodotto meno da carenza di risorse e più da carenza di pensiero e di cuore. Il pensiero e il cuore – se non ridotti ad opinione e a sentimento – ci mettono davanti a quanto ci interpella perché non prodotto da noi. Ci indicano il senso vero dello sviluppo da assumere liberamente e responsabilmente, senza affidarne la realizzazioni solo a burocrazie o a meccanismi.

La grandezza della Caritas in veritate sta nel suo respiro. Senza Dio, si legge nella Conclusione, l’uomo non sa dove andare e non sa nemmeno chi egli sia. Senza Dio l’economia è solo economia, la natura è solo un deposito di materiale, la famiglia solo un contratto, la vita solo una produzione di laboratorio, l’amore solo chimica e lo sviluppo solo una crescita.

L’uomo ondeggia tra natura e cultura, ora intendendosi solo come natura ora solo cultura, senza vedere che la cultura è la vocazione della natura, ossia il compimento non arbitrario di quanto essa già attendeva.

*****

THE POPE KNOWS WHERE WE HAVE TO GO By S.E. mons. Giampaolo Crepaldi

Caritas in veritate is destined to speak to us for a long time to come, and we should speak about it for just as long.

Approximately twenty years after the Centesimus annus of John Paul II the Church once again sets its sights on the heart of the problem regarding the construction of the world and transforms the social issue as such into nothing less than the issue of “integral human development in charity and truth”. Thus is the Social Doctrine of the Church situated at the point where the Church and the world encounter one another, where they meet. Paragraph 34 of the encyclical states quite clearly that in the wake of sin the world is unable to construct itself on its own. As John Paul II said, the Church’s social doctrine is an instrument of salvation because it is the announcement of Christ in temporal realities. Caritas in veritate reiterates the Christian “claim”: apart from me you can do nothing.

Without the force of charity and the light of Christian truths man is not able to hold himself together, loses pieces of himself, contradicts himself, comes apart at the seams and is ‘decomposed’. The Christian ‘claim’ is that only Jesus Christ fully reveals man to man and enables him to hold himself together as a single whole. A reading of Caritas in veritate from this point of view would be most interesting. Leftwing and rightwing, conservativism and progressivism, capitalism and anti-capitalism, nature and culture. . .these and other separations or reductions are completely overlooked; reality is more than they are, and reality is given by charity and truth. Just think about the most frequent expressions of ideological disjunction: the separation of the themes of life and the family from those of social justice and peace. Readily evident is separation, for example, in ecological reductionism or in the development of poor peoples linked with abortion or forced reproductive planning. The encyclical says that all this is to be “kept together. Then again, think about the frequent interpretation of development only in terms of quantity in comparison with other causes – qualitative – of both underdevelopment and super-development. The ideology of technology is the new absolutism (see chapter IV) because it separates: if all the problems of the human person are reduced to psychological problems able to be solved by calling on “expert” technicians, we end up no longer knowing what we mean by development. Man is the unity of body and soul. Caritas in veritate restores to the spirit and to life their rightful place in the construction of the earthly city.

The Christian ‘claim’ is to succeed in holding all this together. But likewise in responding to a need or, even better, to an expectation. This second aspect of the Christian ‘claim’ is present as well in Caritas in veritate. Without denying the diverse levels of truth and competence, and hence without denying its own limits, the Church knows it announces the definitive Word and that this Word is not sort of added on from the outside like an opinion, but professes to be the response to human expectations. Thus does God have His place in the world and the Church its “right of citizenship”. In order for God to have a place in the world requires the world to need Him in order to be world, to attain its natural ends; otherwise God is superfluous. Useful, perhaps, but not indispensable. If God is only useful, then Christianity is nothing more than ethics. God is indispensable and therefore the faith purifies reason and charity purifies justice. Purify means making them reason and charity in the full and effective sense of the words. It is like saying that reason without faith is unable to be reason, and justice without charity is unable to be justice.

It will not be possible to understand Caritas in veritate in depth if we merely dwell on the individual thematic chapters without taking into consideration the overall vision. The true theme addressed by the encyclical is the place of God in the world. This is why Caritas in veritate is likewise a political and social ‘stock-taking’ of modernism and the damages to true development caused by the inability to grasp what we ourselves do not produce. Chapter 34 is one of the most beautiful parts of the encyclical – and most important – insofar as it takes up “the astonishing experience of gift”. Modernism in its emerging version eliminates the very possibility of “receiving” and “welcoming” something truly new that “bursts into” our life. It prevents us from grasping the charity and love which are always what cannot be foreseen and produced. It therefore takes away from God His place in the world, because God is Charity and Love. It takes away the possibility of recognizing one another as “brothers”, because closeness can be produced – says the encyclical—but not fraternity. It has been remarked that the encyclical speaks more about fraternity than solidarity. This is true; the real point, however, is not in order to do away with the word solidarity, but to clarify it even better in the light of the Christian faith. Fraternity requires a single Father and cannot but be a gift. Solidarity runs the risk of turning into yet another ‘ism’ and hence be limited to sort of horizontal ethics. We could say that Christian fraternity purifies human solidarity.

What relationship is there between the perspective of gift and that of liberty and responsibility? Caritas in veritate situates the theme of development in this latter ambit, the ambit of responsibility and not mechanisms. This issues forth not from what we produce ourselves, but from the acceptance of indisputable duties. Otherwise liberty would be license and responsibility irresponsible. Well worth attentive reading is article 43 on rights and duties. In that paragraph modernism is purified, modernism is liberated of itself in order to be itself in a more genuine way. From an irresponsible modernism to a responsible modernism. Underdevelopment is produced. It is produced less by a shortage of resources and more by a shortage of heart and thought, heart and mind. If not reduced to opinion and feeling, heart and thought bring us face to face with what challenges us because we do not produce it. They indicate the true sense of the development to be assumed in a free and responsible manner without entrusting the realization thereof to bureaucracies or mechanisms.

The greatness of Caritas in veritate resides in its broad scope. Without God, as we read in the Conclusion, man neither knows which way to go, nor even understands who he is. Without God the economy is only economy, nature is nothing more than a deposit of material, the family only a contract, life nothing more than a laboratory product, love only chemistry, and development nothing more than a form of growth. Man wavers back and forth between nature and culture, one moment seeing himself as nature alone and the next moment as culture alone, without realizing that culture is the vocation of nature, the non arbitrary fulfillment of what it already awaited.

domenica 12 luglio 2009

E' diffuso Il testo integrale della "Caritas in Veritate" enciclica di B-XVI

E' pubblico il testo della enciclica " Caritas in Veritate" di Papa Benedetto XVI.
parag.34 e 35:

"In ogni processo cognitivo, in effetti, la Verità non è Prodotta da noi ma sempre trovata, o meglio, ricevuta. Essa, come l'amore, non nasce dal pensare e dal volere ma in certo qual modo si impone all'essere umano."
...

"Perchè DONO ricevuto da TUTTI, la carità nella verità è una FORZA che costituisce la Comunità, unifica gli uomini secondo modalità in cui non ci sono barriere nè confini."...

"...lo sviluppo economico, sociale e politico ha BisognO, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al PRINCIPIO DI GRATUITA' come espressione di fraternità."...


Il sole24ore (dom.5.7.09 pag.3) (di G.Zizola): nell' enciclica ... è bene distinta la "...non equivalenza tra economia di mercato e e sistema capitalisico... se l'economia di mercato è un <genus>, il capitalismo è da considerare solo una <specie> di cui sia augura il superamento."