martedì 9 agosto 2011

Islanda: NO accollo del debito delle banche e le ha nazionalizzate. In democrazia diretta, ha cambiato la sua Costituzione ...di a.degl'innocenti


Islanda, quando il popolo sconfigge l'economia globale
di Andrea Degl'Innocenti

L'hanno definita una 'rivoluzione silenziosa' quella che ha portato
l'Islanda alla riappropriazione dei propri diritti. Sconfitti gli interessi
economici di Inghilterra ed Olanda e le pressioni dell'intero sistema
finanziario internazionale, gli islandesi hanno nazionalizzato le banche e avviato un processo di democrazia diretta e partecipata che ha portato a
stilare una nuova Costituzione.


Oggi vogliamo raccontarvi una storia, il perché lo si capirà dopo. Di quelle
storie che nessuno racconta a gran voce, che vengono piuttosto sussurrate di
bocca in orecchio, al massimo narrate davanti ad una tavola imbandita o
inviate per e-mail ai propri amici. È la storia di una delle nazioni più
ricche al mondo, che ha affrontato la crisi peggiore mai piombata addosso ad
un paese industrializzato e ne è uscita nel migliore dei modi.
L'Islanda. Già, proprio quel paese che in pochi sanno dove stia esattamente,
noto alla cronaca per vulcani dai nomi impronunciabili che con i loro sbuffi
bianchi sono in grado di congelare il traffico aereo di un intero emisfero,
ha dato il via ad un'eruzione ben più significativa, seppur molto meno
conosciuta. Un'esplosione democratica che terrorizza i poteri economici e le
banche di tutto il mondo, che porta con se messaggi rivoluzionari: di
democrazia diretta, autodeterminazione finanziaria, annullamento del sistema
del debito.

Ma procediamo con ordine. L'Islanda è un'isola di sole di 320mila anime – il
paese europeo meno popolato se si escludono i micro-stati – privo di
esercito. Una città come Bari spalmata su un territorio vasto 100mila
chilometri quadrati, un terzo dell'intera Italia, situato un poco a sud
dell'immensa Groenlandia.

15 anni di crescita economica avevano fatto dell'Islanda uno dei paesi più
ricchi del mondo. Ma su quali basi poggiava questa ricchezza? Il modello di
'neoliberismo puro' applicato nel paese che ne aveva consentito il rapido
sviluppo avrebbe ben presto presentato il conto. Nel 2003 tutte le banche
del paese erano state privatizzate completamente. Da allora esse avevano
fatto di tutto per attirare gli investimenti stranieri, adottando la tecnica
dei conti online, che riducevano al minimo i costi di gestione e
permettevano di applicare tassi di interesse piuttosto alti. IceSave, si
chiamava il conto, una sorta del nostrano Conto Arancio. Moltissimi
stranieri, soprattutto inglesi e olandesi vi avevano depositato i propri
risparmi.

Così, se da un lato crescevano gli investimenti, dall'altro aumentava il
debito estero delle stesse banche. Nel 2003 era pari al 200 per cento del
prodotto interno lordo islandese, quattro anni dopo, nel 2007, era arrivato
al 900 per cento. A dare il colpo definitivo ci pensò la crisi dei mercati
finanziari del 2008. Le tre principali banche del paese, la Landsbanki, la
Kaupthing e la Glitnir, caddero in fallimento e vennero nazionalizzate; il
crollo della corona sull'euro – che perse in breve l'85 per cento – non fece
altro che decuplicare l'entità del loro debito insoluto. Alla fine dell'anno
il paese venne dichiarato in bancarotta.

Il Primo Ministro conservatore Geir Haarde, alla guida della coalizione
Social-Democratica che governava il paese, chiese l’aiuto del Fondo
Monetario Internazionale, che accordò all'Islanda un prestito di 2 miliardi
e 100 milioni di dollari, cui si aggiunsero altri 2 miliardi e mezzo da
parte di alcuni Paesi nordici. Intanto, le proteste ed il malcontento della
popolazione aumentavano.
A gennaio, un presidio prolungato davanti al parlamento portò alle
dimissioni del governo. Nel frattempo i potentati finanziari internazionali
spingevano perché fossero adottate misure drastiche.

Il Fondo Monetario Internazionale e l'Unione Europea proponevano allo stato islandese di di
farsi carico del debito insoluto delle banche, socializzandolo.
Vale a dire spalmandolo sulla popolazione.
Era l'unico modo, a detta loro, per riuscire a rimborsare il debito ai creditori, in particolar modo a Olanda ed Inghilterra, che già si erano fatti carico di rimborsare i propri cittadini.

Il nuovo governo, eletto con elezioni anticipate ad aprile 2009, era una
coalizione di sinistra che, pur condannando il modello neoliberista fin lì
prevalente, cedette da subito alle richieste della comunità economica
internazionale: con una apposita manovra di salvataggio venne proposta la
restituzione dei debiti attraverso il pagamento di 3 miliardi e mezzo di
euro complessivi, suddivisi fra tutte le famiglie islandesi lungo un periodo
di 15 anni e con un interesse del 5,5 per cento.

Si trattava di circa 100 euro al mese a persona, che ogni cittadino della
nazione avrebbe dovuto pagare per 15 anni; un totale di 18mila euro a testa
per risarcire un debito contratto da un privato nei confronti di altri
privati. Einars Már Gudmundsson, un romanziere islandese, ha recentemente
affermato che quando avvenne il crack, “gli utili [delle banche, ndr] sono stati privatizzati ma le perdite sono state nazionalizzate”. Per i cittadini
d'Islanda era decisamente troppo.

Fu qui che qualcosa si ruppe. E qualcos'altro invece si riaggiustò. Si ruppe
l'idea che il debito fosse un'entità sovrana, in nome della quale era
sacrificabile un'intera nazione. Che i cittadini dovessero pagare per gli
errori commessi da un manipoli di banchieri e finanzieri. Si riaggiustò d'un
tratto il rapporto con le istituzioni, che di fronte alla protesta
generalizzata decisero finalmente di stare dalla parte di coloro che erano
tenuti a rappresentare.

Accadde che il capo dello Stato, Ólafur Ragnar Grímsson, si rifiutò di
ratificare la legge che faceva ricadere tutto il peso della crisi sulle
spalle dei cittadini e indisse, su richiesta di questi ultimi, un
referendum, di modo che questi si potessero esprimere.

La comunità internazionale aumentò allora la propria pressione sullo stato
islandese. Olanda ed Inghilterra minacciarono pesanti ritorsioni, arrivando
a paventare l'isolamento dell'Islanda. I grandi banchieri di queste due
nazioni usarono il loro potere ricattare il popolo che si apprestava a
votare. Nel caso in cui il referendum fosse passato, si diceva, verrà
impedito ogni aiuto da parte del Fmi, bloccato il prestito precedentemente
concesso.
Il governo inglese arrivò a dichiarare che avrebbe adottato contro
l'Islanda le classiche misure antiterrorismo: il congelamento dei risparmi e
dei conti in banca degli islandesi. “Ci è stato detto che se rifiutiamo le condizioni, saremo la Cuba del nord – ha continuato Grímsson nell'intervista - ma se accettiamo, saremo l’Haiti del nord”.

A marzo 2010, il referendum venne stravinto, con il 93 per cento delle
preferenze, da chi sosteneva che il debito non dovesse essere pagato dai
cittadini. Le ritorsioni non si fecero attendere: il Fmi congelò
immediatamente il prestito concesso. Ma la rivoluzione non si fermò. Nel
frattempo, infatti, il governo – incalzato dalla folla inferocita – si era
mosso per indagare le responsabilità civili e penali del crollo finanziario.

L'Interpool emise un ordine internazionale di arresto contro l’ex-Presidente
della Kaupthing, Sigurdur Einarsson. Gli altri banchieri implicati nella
vicenda abbandonarono in fretta l'Islanda.

In questo clima concitato si decise di creare ex novo una costituzione
islandese, che sottraesse il paese allo strapotere dei banchieri
internazionali e del denaro virtuale. Quella vecchia risaliva a quando il
paese aveva ottenuto l'indipendenza dalla Danimarca, ed era praticamente
identica a quella danese eccezion fatta per degli aggiustamenti marginali
(come inserire la parola 'presidente' al posto di 're').

Per la nuova carta si scelse un metodo innovativo. Venne eletta un'assemblea
costituente composta da 25 cittadini. Questi furono scelti, tramite regolari
elezioni, da una base di 522 che avevano presentato la candidatura. Per
candidarsi era necessario essere maggiorenni, avere l'appoggio di almeno 30
persone ed essere liberi dalla tessera di un qualsiasi partito.

Ma la vera novità è stato il modo in cui è stata redatta la magna charta.
"Io credo - ha detto Thorvaldur Gylfason, un membro del Consiglio
costituente - che questa sia la prima volta in cui una costituzione viene
abbozzata principalmente in Internet".
Chiunque poteva seguire i progressi della costituzione davanti ai propri
occhi. Le riunioni del Consiglio erano trasmesse in streaming online e
chiunque poteva commentare le bozze e lanciare da casa le proprie proposte.
Veniva così ribaltato il concetto per cui le basi di una nazione vanno poste
in stanze buie e segrete, per mano di pochi saggi. La costituzione scaturita
da questo processo partecipato di democrazia diretta verrà sottoposta al
vaglio del parlamento immediatamente dopo le prossime elezioni.

Ed eccoci così arrivati ad oggi. Con l'Islanda che si sta riprendendo dalla
terribile crisi economica e lo sta facendo in modo del tutto opposto a
quello che viene generalmente propagandato come inevitabile. Niente
salvataggi da parte di Bce o Fmi, niente cessione della propria sovranità a
nazioni straniere, ma piuttosto un percorso di riappropriazione dei diritti
e della partecipazione.

Lo sappiano i cittadini greci, cui è stato detto che la svendita del settore
pubblico era l'unica soluzione. E lo tengano a mente anche quelli
portoghesi, spagnoli ed italiani.

In Islanda è stato riaffermato un principio fondamentale: è la volontà del popolo sovrano a determinare le sorti di una nazione, e questa deve prevalere su qualsiasi accordo o pretesa
internazionale. Per questo nessuno racconta a gran voce la storia islandese.
Cosa accadrebbe se lo scoprissero tutti?

http://www.youtube.com/watch?v=jGH-E8eR2i8&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=7pGSA_qDYyA&NR=1 L'ISLANDA COME COMBATTERE LA SCHIAVITU',,, DELLA GLOBALIZZAZIONE,,,
http://www.youtube.com/watch?v=shUiFXIxUs8