ECOSISTEMA A RISCHIO
L'utilizzo dell'acqua marina come vettore di calore è dannoso.
L'utilizzo dell'acqua marina come vettore di calore è dannoso.
Lo studio del Wwf spiega il perché, trattando del rigassificatore di Trieste.
Nei mari italiani va evitata la costruzione di impianti che utilizzino l’acqua di mare nel processo di rigassificazione del Gnl.
Questa la principale conclusione di un ampio documento di approfondimento, presentato in una conferenza stampa a Trieste e redatto da un gruppo di esperti del Wwf.
Impiegare l’acqua marina come vettore di calore nei rigassificatori, infatti, implica lo scarico di enormi quantità di acqua fredda, nonché di cloro, nell’ambiente marino.
I volumi in gioco sono notevolissimi - spiega il Wwf in una nota -: basti dire che un impianto da 8 miliardi di metri cubi/anno (come quello proposto da Gas Natural a Trieste-Zaule, quello off shore progettato da E.On nel centro del Golfo di Trieste e quello già in funzione al largo di Porto Viro) preleva – e poi restituisce, sterilizzati, 636.000 metri cubi di acqua marina al giorno. Una quantità che va moltiplicata per le giornate di funzionamento dell’impianto – tendenzialmente 365 all’anno - e per i 30-40 anni di vita utile dello stesso.
Le conseguenze ambientali che ne derivano sono rappresentate da fortissimi stress termici e meccanici, nonché dalla formazione di cloro-derivati organici e cloramine, fortemente tossici, che distruggono i microorganismi (zoo- e fitoplancton) presenti nell’acqua del mare, sterilizzandola.
I microorganismi distrutti consentono l’auto-depurazione del mare e rappresentano la base fondamentale della catena alimentare, dalla quale dipende la vita di tutti gli organismi acquatici e dalla quale dipendono, di conseguenza, anche le attività (pesca, acquacoltura, ecc.) che su questi organismi si fondano.
La manifestazione tangibile dei danni prodotti da questa tecnologia - continua la nota -, si ha già su alcuni litorali veneti, invasi periodicamente da abbondanti schiume, originate (come ha accertato l’Arpav) dagli scarichi del terminale Gnl di Porto Viro, situato 15 km al largo della costa. Quella invece più minacciosa e invisibile è legata all’immissione di un paio di centinaia di tonnellate all’anno di sostanze organiche legate al cloro: sono tossiche, in parte persistenti e mutagene. Si accumulano nei lipidi e vengono trasmesse lungo la catena alimentare. Dove possono agire da “endocrine disruptors”. Si tratta di molecole ricompresse – ai sensi della normativa europea – tra le “sostanze prioritarie”, da monitorare per lo stato di salute dei corpi idrici.
La procedura di Valutazione dell’Impatto Ambientale sul progetto del rigassificatore di Trieste-Zaule non ha tenuto conto di queste sostanze, semplicemente perché omesse degli studi allora prodotti da Gas Natural. E’ questa una delle più gravi lacune del decreto VIA che ha espresso un giudizio ambientale positivo sul progetto: mancando una quantificazione dei veleni che verrebbero immessi in mare, non c’è stata infatti neanche una seria valutazione delle tecnologie alternative all’uso dell’acqua marina.
L’intera problematica è rinviata dal decreto Via ai futuri “monitoraggi” delle condizioni ambientali, senza entrare nel merito di ciò che potrebbe succedere nell’ambiente marino e alla qualità del pescato dei nostri mari.
Il documento del Wwf sottolinea che la formazione di schiume e l’immissione di sostanze tossiche non mancherebbero di riprodursi anche sulle coste del Friuli Venezia Giulia, qualora venissero realizzati i rigassificatori di Gas Natural e E.On., basati sulla stessa tecnologia di quello di Porto Viro, considerata anche la scarsa profondità dell’Adriatico, mare chiuso con ridotta circolazione idrica.
Sono però una dozzina i progetti di nuovi terminali di rigassificazione ad acqua di mare, proposti in varie località italiane, ai quali vanno aggiunti quelli proposti sulle coste croate (Omišalj, sull’isola di Veglia) e su quelle albanesi.
E’ l’intero complesso dei mari che bagnano l’Italia, perciò, ad essere esposto al rischio di pesanti impatti sull’ecosistema, se questi impianti entrassero in funzione. Il danno per la perdita di “servizi ecosistemici” può anche essere quantificato: nel caso del terminale di Trieste-Zaule ammonterebbero ad oltre 2 milioni di Euro all’anno. Gas Natural usufruirebbe gratuitamente di questo servizio, per un piccolo guadagno immediato, senza rifondere il danno causato dalla perdita dei servizi ecosistemici e dall’immissione di veleni in mare.
Esistono però tecnologie alternative, che non prevedono l’utilizzo dell’acqua di mare: ad esempio quella “a circuito chiuso” (utilizzata da anni nel terminale di Panigaglia, presso La Spezia), dove una piccola quantità del gas liquefatto trasportato dalle gasiere – dallo 0,87 all’1,30% - viene bruciata per ricavare il calore necessario al processo di rigassificazione.
Il documento degli esperti del Wwf sottolinea inoltre che le scelte in materia dovrebbero essere inquadrate in un Piano Energetico Nazionale (oggi inesistente in Italia), nel quale stabilire il fabbisogno energetico, i modi per soddisfarlo con il ricorso alle varie fonti – efficienza e risparmio in primis – nonché la localizzazione di massima degli impianti (tenuto conto anche degli aspetti relativi alla sicurezza) e le tecnologie più appropriate di questi.
Il Pen andrebbe ovviamente sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica in base alla Direttiva europea in materia, innescando perciò un processo partecipativo che coinvolga anche i cittadini.
In questo quadro, la rigassificazione con impiego dell’acqua di mare, secondo il WWF, non dovrebbe trovare spazio alcuno nei Paesi rivieraschi dell’Adriatico e nei mari italiani: entrambi i progetti proposti da Gas Natural e E.On. vanno quindi respinti.
L’associazione ambientalista ritiene che, in una realtà come quella dell’Adriatico, andrebbe semmai approfondita l’alternativa proposta dal Tavolo Tecnico Rigassificatori - Trieste e condivisa dal sindaco di Muggia, rappresentata da una nave rigassificatrice “trinazionale”, da ormeggiare ad una boa collocata in un punto dell’Adriatico, prescelto d’intesa tra Italia, Slovenia e Croazia e che utilizzi la tecnologia di rigassificazione “a ciclo chiuso”.
Il documento del Wwf è stato inviato, a firma del presidente nazionale Stefano Leoni, del responsabile progetto “Mare” Marco Costantini e del presidente regionale Roberto Pizzutti, agli enti italiani competenti (i ministri Clini e Passera, a vari uffici ministeriali e regionali, ai Comuni di Trieste, Muggia e Dolina, al ministero e all’Agenzia statale slovena per l’ambiente
Nei mari italiani va evitata la costruzione di impianti che utilizzino l’acqua di mare nel processo di rigassificazione del Gnl.
Questa la principale conclusione di un ampio documento di approfondimento, presentato in una conferenza stampa a Trieste e redatto da un gruppo di esperti del Wwf.
Impiegare l’acqua marina come vettore di calore nei rigassificatori, infatti, implica lo scarico di enormi quantità di acqua fredda, nonché di cloro, nell’ambiente marino.
I volumi in gioco sono notevolissimi - spiega il Wwf in una nota -: basti dire che un impianto da 8 miliardi di metri cubi/anno (come quello proposto da Gas Natural a Trieste-Zaule, quello off shore progettato da E.On nel centro del Golfo di Trieste e quello già in funzione al largo di Porto Viro) preleva – e poi restituisce, sterilizzati, 636.000 metri cubi di acqua marina al giorno. Una quantità che va moltiplicata per le giornate di funzionamento dell’impianto – tendenzialmente 365 all’anno - e per i 30-40 anni di vita utile dello stesso.
Le conseguenze ambientali che ne derivano sono rappresentate da fortissimi stress termici e meccanici, nonché dalla formazione di cloro-derivati organici e cloramine, fortemente tossici, che distruggono i microorganismi (zoo- e fitoplancton) presenti nell’acqua del mare, sterilizzandola.
I microorganismi distrutti consentono l’auto-depurazione del mare e rappresentano la base fondamentale della catena alimentare, dalla quale dipende la vita di tutti gli organismi acquatici e dalla quale dipendono, di conseguenza, anche le attività (pesca, acquacoltura, ecc.) che su questi organismi si fondano.
La manifestazione tangibile dei danni prodotti da questa tecnologia - continua la nota -, si ha già su alcuni litorali veneti, invasi periodicamente da abbondanti schiume, originate (come ha accertato l’Arpav) dagli scarichi del terminale Gnl di Porto Viro, situato 15 km al largo della costa. Quella invece più minacciosa e invisibile è legata all’immissione di un paio di centinaia di tonnellate all’anno di sostanze organiche legate al cloro: sono tossiche, in parte persistenti e mutagene. Si accumulano nei lipidi e vengono trasmesse lungo la catena alimentare. Dove possono agire da “endocrine disruptors”. Si tratta di molecole ricompresse – ai sensi della normativa europea – tra le “sostanze prioritarie”, da monitorare per lo stato di salute dei corpi idrici.
La procedura di Valutazione dell’Impatto Ambientale sul progetto del rigassificatore di Trieste-Zaule non ha tenuto conto di queste sostanze, semplicemente perché omesse degli studi allora prodotti da Gas Natural. E’ questa una delle più gravi lacune del decreto VIA che ha espresso un giudizio ambientale positivo sul progetto: mancando una quantificazione dei veleni che verrebbero immessi in mare, non c’è stata infatti neanche una seria valutazione delle tecnologie alternative all’uso dell’acqua marina.
L’intera problematica è rinviata dal decreto Via ai futuri “monitoraggi” delle condizioni ambientali, senza entrare nel merito di ciò che potrebbe succedere nell’ambiente marino e alla qualità del pescato dei nostri mari.
Il documento del Wwf sottolinea che la formazione di schiume e l’immissione di sostanze tossiche non mancherebbero di riprodursi anche sulle coste del Friuli Venezia Giulia, qualora venissero realizzati i rigassificatori di Gas Natural e E.On., basati sulla stessa tecnologia di quello di Porto Viro, considerata anche la scarsa profondità dell’Adriatico, mare chiuso con ridotta circolazione idrica.
Sono però una dozzina i progetti di nuovi terminali di rigassificazione ad acqua di mare, proposti in varie località italiane, ai quali vanno aggiunti quelli proposti sulle coste croate (Omišalj, sull’isola di Veglia) e su quelle albanesi.
E’ l’intero complesso dei mari che bagnano l’Italia, perciò, ad essere esposto al rischio di pesanti impatti sull’ecosistema, se questi impianti entrassero in funzione. Il danno per la perdita di “servizi ecosistemici” può anche essere quantificato: nel caso del terminale di Trieste-Zaule ammonterebbero ad oltre 2 milioni di Euro all’anno. Gas Natural usufruirebbe gratuitamente di questo servizio, per un piccolo guadagno immediato, senza rifondere il danno causato dalla perdita dei servizi ecosistemici e dall’immissione di veleni in mare.
Esistono però tecnologie alternative, che non prevedono l’utilizzo dell’acqua di mare: ad esempio quella “a circuito chiuso” (utilizzata da anni nel terminale di Panigaglia, presso La Spezia), dove una piccola quantità del gas liquefatto trasportato dalle gasiere – dallo 0,87 all’1,30% - viene bruciata per ricavare il calore necessario al processo di rigassificazione.
Il documento degli esperti del Wwf sottolinea inoltre che le scelte in materia dovrebbero essere inquadrate in un Piano Energetico Nazionale (oggi inesistente in Italia), nel quale stabilire il fabbisogno energetico, i modi per soddisfarlo con il ricorso alle varie fonti – efficienza e risparmio in primis – nonché la localizzazione di massima degli impianti (tenuto conto anche degli aspetti relativi alla sicurezza) e le tecnologie più appropriate di questi.
Il Pen andrebbe ovviamente sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica in base alla Direttiva europea in materia, innescando perciò un processo partecipativo che coinvolga anche i cittadini.
In questo quadro, la rigassificazione con impiego dell’acqua di mare, secondo il WWF, non dovrebbe trovare spazio alcuno nei Paesi rivieraschi dell’Adriatico e nei mari italiani: entrambi i progetti proposti da Gas Natural e E.On. vanno quindi respinti.
L’associazione ambientalista ritiene che, in una realtà come quella dell’Adriatico, andrebbe semmai approfondita l’alternativa proposta dal Tavolo Tecnico Rigassificatori - Trieste e condivisa dal sindaco di Muggia, rappresentata da una nave rigassificatrice “trinazionale”, da ormeggiare ad una boa collocata in un punto dell’Adriatico, prescelto d’intesa tra Italia, Slovenia e Croazia e che utilizzi la tecnologia di rigassificazione “a ciclo chiuso”.
Il documento del Wwf è stato inviato, a firma del presidente nazionale Stefano Leoni, del responsabile progetto “Mare” Marco Costantini e del presidente regionale Roberto Pizzutti, agli enti italiani competenti (i ministri Clini e Passera, a vari uffici ministeriali e regionali, ai Comuni di Trieste, Muggia e Dolina, al ministero e all’Agenzia statale slovena per l’ambiente